Domenico Zipoli – La Biografia

Domenico Zipoli nacque a Prato il 17 ottobre 1688 alle 1.30 della notte, da Sabatino ed Eugenia Varocchi. Vide la luce in una casa del podere di s. Martino, di proprietà della famiglia Naldini, che il padre Sabatino lavorava come contadino. La casa si trovava fuori dalle mura, oltre la porta al Serraglio, nella parrocchia della Cattedrale (attualmente in via Bologna 79). Vi rimase fino all’età di 14 anni (1702), quando si trasferi nei dintorni della Cattedrale.

Fece i primi studi musicali con i maestri di cappella della Cattedrale, Ottavio Termini, Sebastiano Falagiani e Giovanni Battista Becattelli, il suo primo vero maestro.

Nel 1707, sostenuto economicamente dal Granduca Cosimo III proseguì gli studi a Firenze soprattutto con il coetaneo Giuseppe Maria Orlandini. Nei primi mesi del 1708 si rappresentò in Firenze un Oratorio “Sara in Egitto”, di autori vari, alcuni dei quali assai importanti (A. Caldara, A. Scarlatti, G.M. Casini); tra questi vi era il giovane Zipoli.

Nel giugno del 1708 si trasferisce a Roma, presso il fratello Giuseppe che prestava servizio nella casa dell’abate Filippo Baldocci. A Novembre era già a Napoli, dove si era recato – ancora sostenuto economicamente dal Granduca di Toscana – per studiare con Alessandro Scarlatti. Vi rimase pochi mesi, per difficoltà di rapporto personale col maestro o perché Scarlatti – dopo aver invano cercato di occupare un ruolo di rilievo a Firenze – era oramai in cattivi rapporti col Granduca.

Il 1709 lo vede a Bologna, allievo del monaco Felice Lavinio Vannucci, autore del metodo “Regole per suonare, cantare e comporre per principianti”.

Nei primi mesi del 1710 la sua presenza è attestata nuovamente a Roma, dove prende dimora presso l’abate Baldocci fino al momento della sua partenza per la Spagna nel 1716. In questi mesi ha modo di venire in contatto con il vecchio Bernardo Pasquini, che sarebbe morto di lì a poco nel novembre del 1710. Diviene membro della Congregazione di S. Cecilia. La Congregazione gli commissiona i Vespri e la Messa per la festa di S. Carlo. Nello stesso novembre (30) ottiene il posto di organista a S. Maria in Trastevere.

Anche nel 1712 la Congregazione di Santa Cecilia nella Chiesa San Carlo ai Catinari, sede del sodalizio, gli affida la composizione (o forse soltanto la direzione) di Vespri e Messa per la festa di San Carlo. La stessa cosa avvenne nel 1713.

Nella quaresima del 1712 presentò il suo Oratorio “Sant’Antonio di Padova” nella Chiesa Santa Maria in Vallicella, e nello stesso anno nella Chiesa di San Girolamo della Carità l’Oratorio “Santa Caterina Vergine e Martire”.

In questi anni fu tra l’altro a stretto contatto con l’ambiente dell’Accademia dell’Arcadia, contatto riflesso nelle sue cantate per solista e basso continuo.

Nel gennaio del 1716 pubblicò a Roma le sue “Sonate d’Intavolatura per Organo e Cimbalo”. Il fatto che esse siano dedicate alla principessa Strozzi (e il soggetto della cantata “Delle offese a vendicarmi”) hanno fatto fantasticare su questo rapporto, del quale in realtà niente sappiamo oltre alla dedica scritta da Zipoli.

In quel momento era organista della chiesa del Gesù a Roma, ma non esiste di ciò altra attestazione al di fuori del frontespizio delle Sonate, né è dato sapere per quanto tempo egli abbia ricoperto tale carica.

Nell’aprile del 1716 partì da Roma alla volta di Genova e poi Siviglia, dove si trattenne per quasi un anno, facendo il suo ingresso nella Compagnia di Gesù.

Nell’aprile del 1717 Zipoli, assieme a Pedro Lozano (che sarebbe divenuto uno dei principali storici della Compagnia) e a Giovanni Battista Primoli (architetto di molti edifici delle missioni gesuitiche sudamericane) iniziò la traversata di tre mesi alla volta del Rio de la Plata (Argentina). Nel documento di imbarco si ha l’unica descrizione fisica: “Domenico Zipoli, di media statura, due nei sulla gota sinistra” (Archivo general de Indias, Contratación de Sevilla, 1717, p. 355).

Arrivò a Buenos Aires nel mese di luglio ed in agosto si stabilì a Cordoba, dove aveva sede il noviziato e l’università, e dove doveva continuare gli studi teologici (era ancora studente). Qui svolse anche attività musicale – il che contribuì verosimilmente a ritardare il completamento degli studi teologici – presumibilmente come organista, maestro di cappella e compositore. Le sue composizioni acquistarono rinomanza nel mondo delle missioni gesuitiche.

Nel 1725 Zipoli si ammalò, forse di tubercolosi. Morì il 2 gennaio del 1726 all’età di 37 anni poco più. Sul luogo della sua morte non vi è certezza, dato che questa potrebbe essere avvenuta sia a Cordoba che nella Estancia Santa Catalina, luogo di riposo dei gesuiti, a 50 km da Cordoba, dove nel frattempo sarebbe stato trasferito per curarsi. In tal caso sarebbe stato sepolto nel cimitero di Santa Catalina; ma fino ad oggi non si è potuta ritrovare la tomba.

Concludiamo riportando il necrologio scritto da Pedro Lozano S. J. (Monaco, Bayrisches Staatsarchiv, Missionsbriefe aus Paraguay, Jesuitica, Provinciae Paraquariae Societatis Jesu Ab anno MDCCCXX ad mensem Octobrem anni MDCCXXX…, foglio 5v. e 6r.):

Ex scholasticis primus naturae debitum persolvit ineunte anno MDCCXXVI Dominicus Zipoli, pratensis in Etruria, absoluto theologiae quatriennio, nec sacris tamen initiatus, ob episcopi defectum. Musices peritissimus, cuius speciem non vulgare praebuit in libello typis excusso, in odaeum Domus professae romanae adscitus est; cumque ampliora posset sperare, omnia indorum saluti postposuit ac in Paraquariam navigavit, Societati Hispali** adscriptus. Festis apparatu musico pie ac splendide celebrandis, ingenti tum hispanorum tum neophitorum voluptate, sedulo invigilavit, quin studium, cui vacabat, intermitteret, feceratque in litteris philosophicis et theologicis progressus non contemnendos. Frequentissimus populus ad templum nostrum accedebat singulis quibusdam solemnitatibus, eiusdem audiendi cupiditate illectus. Placidissimis moribus erat praeditus, ob eosque dilectus Deo et hominibus. Oculos castissima custodia tenebat semper vincitos, quin vel pueri ullius, taceo feminae, vultum aspiceret. Angeli Custodis varia honoris exhibitione et cultu, agnatam Angelis pietatem impetrasse creditus est. Singulas omnino actiones obedientiae norma temperabat, ne latum quidem unguem discrepans a maiorum placitis, a quibus veniam sibi fieri postulabat pro minimis quibusque rebus. Ab ore dicentis pendebant socii, dum de rebus divinis dissereret, nec de aliis colloqui assuerevat. Maligna tabe, qua annum integrum laboraverat, consumptus, placidissime ut vixerat spiritum Deo reddidit, eadem die II Ianuarii.

Tra gli studenti pagò per primo il debito naturale (=morì) Domenico Zipoli di Prato in Toscana, all’inizio dell’anno 1726. Aveva completato il quadriennio di teologia, ma non era stato ordinato prete perché mancava il vescovo. Era espertissimo nella musica, arte della quale lasciò una testimonianza non comune in un libretto dato alle stampe. Entrato a far parte del teatro della Casa di Roma, poteva sperare di ottenere risultati ancora maggiori, ma a tutto preferì la salvezza degli indiani e, come membro della Compagnia spagnola, navigò verso il Paraguay.

Si occupò con diligenza di celebrare le feste con pio splendore per mezzo della musica, con grandissimo piacere sia degli ispanici che dei neofiti (indiani), senza però interrompere gli studi (teologici) ai quali si dedicava: in filosofia e teologia aveva fatto progressi non da poco. In tutte le solennità un popolo numerosissimo si recava alla nostra chiesa attirato dal piacere di ascoltarlo. Era dotato di un modo di fare estremamente tranquillo, e per questo caro a Dio e agli uomini.

Teneva gli occhi sempre castamente custoditi, e non guardava in faccia nemmeno un bambino, men che meno una donna. Si pensava che grazie alla sua devozione all’Angelo Custode avesse ottenuto la pietà propria degli Angeli. Disciplinava proprio tutte le sue azioni sulla base dell’obbedienza, per niente discostandosi dal volere dei superiori, dai quali per cose minime chiedeva il perdono. Pendeva dalle labbra dei confratelli che parlavano di cose divine, ed era solito non parlare di altro. Sfinito da una grave malattia, per la quale aveva sofferto un anno intero, con la tranquillità con cui aveva vissuto rese l’anima a Dio il 2 di gennaio.

(a cura di Marco Pratesi)